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martedì 26 aprile 2016

Mi hanno proposto di candidarmi...

Mi hanno proposto di candidarmi alle prossime elezioni nel Comune di Milano. Chi mi ha fatto la proposta è un caro amico, con cui collaboro da anni. Sono rimasta incerta per qualche giorno. Poi ho rifiutato.

Tempo fa militai in politica, naturalmente senza guadagnarci nulla. Poi lasciai, molto delusa, dalle faziosità interne, dalle lotte per il potere, perfino ai livelli più bassi.

Ho un'idea della politica molto distante da quello che oggi è nel nostro Paese, forse da ciò che è sempre stata. La politica dovrebbe essere, secondo me, lo strumento per garantire a un paese la pace e la prosperità. Ma sappiamo bene che spesso non è così.

Ieri, 25 aprile, non ero dell'umore giusto. Non sono tuttora dell'umore giusto. Mi sono chiesta se fosse il caso di pubblicare lo stesso dei post. Poi ho pensato che, se pubblico solo quando sono di buonumore, entro in contraddizione con me stessa. Il libro che ho scritto, in un momento difficile della mia vita, trattava proprio di questo: del mantenersi positivi nonostante tutto.

Ma torniamo al 25 aprile e alla politica. Mia madre, ieri sera, si è ascoltata, alla radio, un servizio sulla liberazione. Lei, la guerra, se l'è vissuta da ragazzina a Milano, poi sfollata insieme al resto dell'azienda, perché già lavorava in ufficio, nonostante fosse ancora adolescente. Suo padre, mio nonno,  non fu partigiano, come qualche volta dico, per semplificare. Fu qualcosa di "peggio". Lui faceva la lotta clandestina mentre lavorava in fabbrica. In altre parole, se ne andava in giro con un bersaglio addosso. E il proiettile arrivò. Per colpa di una barzelletta contro il regime fascista, che lui aveva raccontato, fu denunciato e condannato al confino.

Intervenne il capo della fabbrica, fascista tesserato (ma brava persona, ed è importante ricordarlo, come brava persona era stato Perlasca, anche lui fascista, che salvò centinaia di ebrei). Garantì per lui. Così il nonno non andò al confino, ma finse di essere un bravo cittadino obbediente al regime, controllato, però,  dai carabinieri ogni settimana. La sua storia merita un post a parte e arriverà nell'anniversario dell'armistizio.

La mamma, che si era vissuta tutte queste esperienze, ieri sera è sobbalzata sulla sedia sentendo il numero di tonnellate di bombe che furono sganciate su Milano nella seconda guerra mondiale, dagli anglo-americani. Lo sapeva...scappavano nel rifugio in continuazione. Gli zii, che abitavano in porta Magenta, avevano dovuto lasciare la propria casa bombardata e si erano stretti tutti insieme in un bilocale,  in due famiglie.

Però, quando senti quei numeri, ti senti percorrere da un brivido.

Papà, dopo il 25 aprile, lavorava al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) alle dipendenze di suo zio, socialista, che occupava un ruolo importante nel partito.

Papà, poco prima,  era stato, però, condannato a morte dai partigiani, mentre tornava a casa, perché scambiato per un gerarca che, evidentemente, gli assomigliava. Aveva le mani senza calli (papà era uno studente, nella vita civile, per di più violinista, quindi con mani curate...) e questo fu un indizio aggravante. Era per forza, nell'immaginario di chi lo aveva catturato,  un ricco gerarca...

Poco prima di morire, a distanza di parecchi anni da quei tempi lontanissimi, Papà mi raccontava, per l'ennesima volta, quell'episodio. Aveva, allora, circa vent'anni e, per un tragico errore, venne scambiato per un'altra persona, sommariamente processato (lui protestava inutilmente la propria estraneità ai fatti, ma non aveva documenti, per via di una vicenda altrettanto tragica da cui stava uscendo) e condannato a morte per impiccagione. Lui aveva visto impiccare i suoi compagni di prigionia da non molto tempo. Lui sapeva bene quanto atroce sia la morte per impiccagione.

Ma non bastò. Fu esposto all'ira della popolazione. Donne con bambini in braccio andavano vicino a lui, per sputargli addosso, per gridargli "Morirai, infame, porco bastardo!".

Papà, all'età di 82 anni, piangeva ancora, singhiozzava quasi e a me si stringeva il cuore nell'ascoltarlo, ma lo volli ascoltare fino in fondo. Non potevo lasciarlo così... Ricordava che lo avevano denudato, per umiliarlo ancora di più. Poi, finalmente, poco prima che venisse impiccato, come nei film, si fece avanti qualcuno che lo conosceva e che garantì per lui. Così riuscì a vivere. Ma questa volta si "arrese" agli americani, che gli tolsero i pidocchi, lo confortarono e gli diedero un lasciapassare per poter finalmente rientrare a casa, visto che la somiglianza con quell'altro individuo non lo avrebbe certo protetto lungo il viaggio di ritorno, a piedi, di cascina in cascina, fino...al CLN.

Risparmio altri racconti, che mio padre mi fece, altri racconti dell'orrore. L'orrore era stato commesso da tutte le parti indistintamente. Papà era grato agli americani, ma questi americani erano gli stessi che fecero strage di bimbi e insegnanti alla scuola di Gorla. Papà era grato allo zio socialista, ma alcuni di questi  partigiani lo avevano condannato ingiustamente. Il nonno aveva combattuto i fascisti, ma un fascista gli aveva salvato la vita.

E allora? Il 25 aprile dovrebbe perdere ogni connotazione di parte, secondo me. Come mio padre, come mio nonno (il padre di mia madre), ho un solo ideale: che la gente possa vivere in pace, con spirito di solidarietà e di accoglienza, perché non c'è fazione, c'è un solo gruppo di individui, che si chiama umanità.

Ecco perché non mi schiero con nessuno e voglio essere totalmente libera di amare gli altri, chiunque essi siano.

mercoledì 6 aprile 2016

C'era una volta

...una regina. Così cominciai a raccontare,alcuni anni fa,a un gruppo di dirigenti, attenti come bambini. All'epoca, questo era il mio modo di reagire al conformismo aziendale che,spesso,mi andava un po' stretto.

Buttavo lì una provocazione prima dell'intervallo, poi riprendevo come se nulla fosse,lasciando che la palla passasse ai partecipanti.

Quel giorno avevo detto "Ora ci prendiamo un caffè (ma quanti caffè mi bevevo?), poi vi racconto una favola". Ci eravamo ingoiati quella porcheria nerastra della macchinetta.Poi,come al solito,avevo ripreso il corso come se nulla fosse.

Loro,però, non si erano dimenticati. "E la favola?". Allora,come avrebbe fatto la loro mamma, ,mi rivolsi a un gruppo di direttori del personale e responsabili della formazione, e raccontai loro la storia.Non me l'ero inventata. La fiaba esisteva già in un libro dedicato ai giochi creativi.

C'era una volta una regina, molto affascinante, ricca e potente. Era rimasta sola, dopo la morte del re,in un castello pieno zeppo di diamanti e di rubini. Nello stesso castello viveva la giovane principessa,bella come il sole. Le due giovani donne conducevano così la loro agiata e solitaria esistenza, finché, su un bel cavallo bianco, capitò da quelle parti un giovane principe, anche lui bello come il sole. La principessa si innamorò di lui immediatamente, e lui ricambiò il suo amore.Ma la vedova nutriva ancora qualche velleità:se ne innamorò pure lei.E qui cominciarono i guai. Sì, perché la regina era potente. Si può dire che avesse il potere assoluto. Fu proprio in virtù di questo potere che impose ai due giovani, in un pigro pomeriggio in cui i tre se ne stavano nell'immenso parco,un orribile gioco. "Ora metterò due pietre in questo scrigno:un diamante e un rubino." disse la regina,che aggiunse "Poi chiuderò lo scrigno ed estrarrò una pietra.Se uscirà un diamante,tu,mia cara principessa, ti prenderai principe,castello,con tutte le ricchezze che contiene,e io me ne andrò per sempre. Se,invece,uscirà un rubino, allora io mi piglierò tutto e sarai tu a dovertene andare."

La regina,di soppiatto,infilò lesta due rubini nello scrigno.Ma la principessa si accorse di questo suo gioco sporco, e allora decise di....

A questo punto, il mio racconto si interruppe e proposi ai miei partecipanti di mettersi nei panni della principessa.

In fondo, a volte,funziona così anche in azienda. Ti accorgi,per caso,che un potente sta giocando sporco e tu potresti esserne danneggiato. Che cosa fai? Vai allo scontro frontale, rischiando il tutto per tutto? Lo smascheri? Lo denunci? Sei consapevole delle possibili conseguenze? Subisci? Te ne vai? Chiedi aiuto a qualcuno? Sei sicuro di poterti fidare? Giochi d'astuzia anche tu? Ne sei capace? Non c'è una soluzione giusta,come non c'è una soluzione sbagliata. La consapevolezza di ciò che sei,dei tuoi valori,di ciò che davvero vuoi, ti faranno prendere la via "giusta per te".L'importante è che tu ne sia convinto.

Erano stati creativi, molto. Mi ricordo quel tale che propose di dividere perfino le attenzioni del principe...

Mentre sentivo elencare le loro inclinazioni al compromesso, mi ricordai di quando io stessa avevo sentito narrare quella medesima favola da una mia amica psicologa,che poi,in separata sede,mi avrebbe messa in guardia da...me stessa. La mia reazione da partecipante,infatti,fu la seguente: "Ma , scusa, la regina è anche la mamma della principessa? Se io fossi la principessa,  le ricorderei che,come madre,lei non può che volermi bene,così come io ne voglio a lei.Non è possibile,in queste condizioni,farsi la guerra".

La diagnosi della mia amica fu la seguente: "Stai molto attenta. Tu ami il tuo lavoro e sei tendenzialmente fedele ai tuoi capi. Il problema è che dai per scontato il rapporto di reciproca lealtà.Mettendo l'affettività nel lavoro,rischi  grosso. La"regina" gioca sporco e tu credi che sia capace di sentimenti altruistici, sia pure nei confronti di un collaboratore? Cioè...di una principessa?Ma sei pazza?".

Mi sto ancora domandando se avesse ragione.