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sabato 30 luglio 2016

D.M. 2 - I porcospini di Schopenhauer

Si intitola così un libro,di Consuelo Casula, che lessi molto tempo fa e che fu per me di grande ispirazione.

Vengo da una famiglia carica di emotività. Basti dire che soffrono tutti, o hanno sofferto, di ipertensione arteriosa e le morti per crisi cardiaca o aneurisma, tra i miei consanguinei, sono state frequentissime.

L'ansia e tutte le reazioni emotive fanno dunque parte del mio DNA. Da ragazzina esplodevo per un nonnulla, qualunque scempiaggine, detta dalla prima persona che passava vicino a me, aveva il potere di ferirmi. Le mie relazioni ne soffrivano,ovviamente. Ora potrei dire "Se potessi tornare indietro...(segue elenco delle cose che non rifarei o che farei diversamente)...". Soprattutto, quanto tempo perso a prendermela inutilmente.

Con il tempo,con l'esperienza,grazie alle dure prove della vita, posso dire di aver imparato a gestire la maggior parte di queste emozioni negative. La perfezione non è di questo mondo,si sa. Può ancora capitare che qualcosa mi faccia spazientire, ma capita sempre più raramente e,soprattutto, la durata e l'intensità delle emozioni si sono ridotte drasticamente. Mi hanno aiutato lo yoga, il respiro consapevole, la spiritualità e molte persone incredibili che ho avuto la fortuna di incontrare.

Ma veniamo ai porcospini di Schopenhauer. Ecco,in breve, la metafora del filosofo tedesco.

« Alcuni porcospini, in una fredda giornata d'inverno, si strinsero vicini, vicini, per scaldarsi reciprocamente,in modo da evitare di morire assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l'uno dall'altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell'altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.
Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l'uno verso l'altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l'uno lontano dall'altro. La distanza media, che essi riescono finalmente a trovare e grazie alla quale è possibile una coesistenza, si trova nella cortesia e nelle buone maniere.
A colui che non mantiene quella distanza, si dice in Inghilterra: keep your distance! − Con essa il bisogno del calore reciproco è soddisfatto in modo incompleto, in compenso però non si soffre delle spine altrui. − Colui, però, che possiede molto calore interno preferisce rinunciare alla società, per non dare né ricevere sensazioni sgradevoli. »


A seconda della cultura, la distanza si allunga o si accorcia. Noi italiani tendiamo a stare abbastanza vicini al nostro interlocutore,anche se non siamo in stretta confidenza. Se entrate nell'ufficio del vostro capo, tedesco, questi si terrà a una distanza regolamentare ben più ampia della vostra. Chi,come me, ha lavorato nelle multinazionali, girando un po' il mondo, si è forse divertito a osservare queste differenze.

Ricordo che, nel mio primo viaggio di lavoro negli USA, le domande invadenti del taxista riguardavano il mio lavoro e,in particolare,il mio stipendio, mentre, in Italia,continuavano a tempestarmi di domande sulla mia vita privata. Volevano sapere perché non fossi sposata, perché avessi scelto di fare carriera, perché non avessi ancora un figlio... Porcospini duri da digerire, per me, allora...

Una mia cara amica ,ora, dice di invidiarmi un pochino per la cordialità dei rapporti che stabilisco con quasi tutte le  persone che incontro e per la cordialità che queste stesse persone mi danno a loro volta.

Ho provato a riflettere su che cosa sia cambiato in questi anni, perché il cambiamento è avvenuto in maniera così naturale,che quasi non me ne sono accorta nemmeno io.

La prima cosa che mi viene in mente è il lavoro, che mi ha obbligata a relazionarmi di continuo con gli altri, nonostante fossi, in origine, timida e vulnerabile. Quindi,il primo ingrediente è l'allenamento.

Da solo però non basta. Il farsi male di continuo porta a fare proprio come i porcospini della favola: altalenare tra due diversi dispiaceri, quello della solitudine e quello della ferita reciproca.

Il secondo ingrediente è guardare in faccia le proprie paure. Io avevo sempre avuto una grande paura della solitudine. In realtà, quando ero stanchissima, dopo una giornata di lavoro, avevo bisogno di recuperare e avevo imparato ad assaporare quei momenti in cui potevo starmene in pace a leggere, a guardare un film, a meditare. Imparai a stare bene anche da sola.

Il terzo ingrediente, quello che affonda le radici nella spiritualità, è amare i porcospini e accettarli per quello che sono. Non posso pretendere che un porcospino si spogli delle sue spine per fare piacere a me. Del resto,  anch'io sono un porcospino e sono in grado di fare del male, magari inavvertitamente, con leggerezza,ma pur sempre provocando un danno. Perciò,meglio non nutrire false aspettative e imparare piuttosto ad apprezzare,rimanendo qui e ora, il dolcissimo calore che ci si può donare reciprocamente. Ciò è  possible solo a condizione che si sia  consapevoli di avere entrambi il dorso coperto di aculei.