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venerdì 18 novembre 2016

Incomunicabilità e corsi di comunicazione

Quando ero bambina, andavano di moda i film sull'incomunicabilità. Uno dei più famosi registi italiani che se ne occupava era Michelangelo Antonioni e la protagonista era spesso Monica Vitti, prima che scoprisse in sè la vena comica.

Ricordo le lunghe e struggenti inquadrature, i silenzi, un'atmosfera generale di malinconia: così la chiamavamo prima che la definissero depressione cronica.

Devo ad Antonioni la mia antipatia per l'incomunicabilità. Non mi sembra intelligente essere incapaci di comunicare, fra esseri umani. Siamo così piccoli e soli in quest'angolo di universo, dove la vita sembra essersi manifestata per un miracolo. Siamo così piccoli e soli di fronte al mistero della vita e della morte che la nostra incomunicabilità può essere paragonata alla lotta dei celebri capponi di Renzo, in visita dall'Azzeccagarbugli. Incomunicabilità: una faccenda ridicola, dunque. Invece, non è così.

Prima o poi, ci caschiamo tutti: incomprensioni, fraintendimenti, aspettative non realistiche mai dichiarate, presunzione, egoismo, ignoranza. Tutte queste parole, dalla prima all'ultima, ci riguardano tutti quanti, nessuno escluso. C'è chi le ha sperimentate in dose maggiore, chi in dose minima (complimenti!), ma ciascuno di noi sa bene di che cosa parliamo e, almeno una volta nella vita, è caduto in trappola.

Ecco perché si insegna a comunicare in maniera efficace e gli esami non finiscono mai, come ben diceva De Filippo.

Recentemente, una mia allieva, di professione insegnante, mi diceva indispettita che, nel suo caso, andare a scuola di comunicazione non sarebbe servito, perché chi insegna deve essere naturale. Che diamine voleva dire? Molti scambiano la scuola di comunicazione con la fabbrica di frasi fatte, da ripetere a memoria, come si fa con le poesie.

Mi sarebbe piaciuto chiederle (ma forse sarebbe stato troppo brutale) perché non continuasse a vagire per chiedere qualcosa. Il primo segnale di richiesta di attenzione, per un essere umano, è infatti un vagito. Tutto ciò che segue è appreso.

Il bambino naturale, di cui spesso si parla, non esiste. E' infatti un bambino ideale, che non si trova nella realtà, visto che il condizionamento, o meglio, l'apprendimento, comincia nel grembo materno e, chissà, forse anche prima.

L'incomunicabilità è una faccenda seria: è l'origine del conflitto in famiglia, in azienda, fra etnie, religioni, filosofie, partiti politici. E' causa di guerre, morti e devastazioni. Ecco perché me ne voglio occupare. Mi piacerebbe contribuire, nel mio piccolo, a porre un freno alla barbarie.

Tengo corsi, non perché io sia immune da queste mancanze, ma perché sono abbastanza  consapevole delle trappole, che ho studiato e che, con umiltà e tenacia, mi sforzo di evitare o gestire nella vita di ogni giorno. A volte ci riesco, altre no. Ma, almeno, non scaravento tutta la colpa sugli altri. Mi assumo volentieri la mia parte cospicua di responsabilità.

Detto questo, quali sono i primi passi per superare la barriera dell'incomunicabilità?
Tutto parte dalla presa in carico dei propri modelli di pensiero: schemi mentali, pregiudizi, stereotipi, credenze assimilate nel nostro percorso,  dalla famiglia, dalla scuola, dall'ambiente. Non esiste uno schema perfetto. Esiste solo l'apertura mentale, la capacità cioè di immaginare che esiste qualcosa al di là del proprio orto rassicurante, fatto di regole e schemi che ci sono stati passati o che ci siamo costruiti noi stessi, generalizzando le nostre esperienze e catalogandole, in modo da saperle riconoscere (diciamo noi) o da saperle replicare, lamentandoci, in seguito, perché...capita sempre a noi.

Una volta noto lo schema di partenza, si tratta di metterlo in discussione. o di sospenderlo e di imparare ad ascoltare gli altri senza giudizio, perché anche loro hanno schemi, a volte simili, a volte no. Attenzione, non troveremo mai l'anima gemella, quella che ci assomiglia in tutto e per tutto, a meno che non decidiamo di relazionarci per sempre con la nostra immagine riflessa in uno specchio.

Ecco, un buon corso di comunicazione dovrebbe aiutarmi, prima di tutto, a fare questo.