Sono tornata, dopo una pausa di qualche mese, dopo un lungo silenzio. A volte il silenzio è conseguenza di una grande gioia, altre volte di un grande dolore, ma ci sono casi in cui la grande gioia diventa dolore o viceversa. Alla domanda sull'origine del mio silenzio, risponderò con un silenzio.
Il silenzio è una forma di comunicazione molto speciale. Non rispondere, mi diceva una nonna molto saggia, tanti anni fa, è spesso la miglior risposta.
Più volte, in questi mesi, a fronte di comportamenti disonesti, vili, spregevoli ho pronunciato la frase "Non ho parole". Chi se lo è sentito dire avrà capito cosa intendevo veramente? Poco importa, perché il silenzio ha in sè questa grande forza: lascia che ciascuno sia responsabile dell'interpretazione, che ciascuno sia libero di scegliere tra bene e male, tra verità e menzogna.
Avevo un professore che non rimproverava mai, lui si limitava a guardarti, impassibile, in silenzio e tu ti sentivi piccolissimo: quel suo ostinato silenzio ti costringeva a guardarti dentro, a prendere coscienza delle tue azioni, dei tuoi pensieri.
Il silenzio è meditazione, autentica. Di recente, ho avuto la sensazione che alcuni prestigiosi professionisti nonché insegnanti di yoga, che ho avuto la disavventura di incontrare, confondessero la meditazione con lo sballo. Per lo sballo ci sono alcol e droga, perché ridurre la meditazione a questi livelli?
E' vero che alcuni guru in meditazione riuscivano/riescono, a volte, a trascendere se stessi e ad avere sensazioni paranormali. Pretendere di farlo, senza un lungo e duro percorso fatto di grande umiltà, è come pretendere di costruire un palazzo partendo dal tetto anziché dalle fondamenta.
Sarebbe già carino, secondo me, costruire una villetta di un piano soltanto, solida e accogliente. Già, accogliente. Chi parte dal tetto pensa solo a se stesso: nel proprio delirio di onnipotenza vuole arrivare direttamente a Dio perché è convinto di essere un dio...Niente di più pericoloso.
Accogliente è invece la casa in cui si invitano gli amici per stare bene insieme, per condividere, per regalarsi reciprocamente affetto, solidarietà, compagnia. Ecco perché la meditazione è presa di coscienza, è consapevolezza di che cosa sono io, qui e ora. E' presa di coscienza del proprio limite, della propria inadeguatezza, della propria pochezza. Una bella botta all'autostima, vero? Altra parola abusata: autostima. Ma l'autostima non è vanagloria, piuttosto si tratta di consapevolezza della propria condizione umana, per definizione limitata. Autostima è capacità di accettare i limiti così come virtù, è senso della dignità propria e degli altri.
Quindi, torniamo al silenzio, al silenzio meditativo. Prendo coscienza di ciò che sono, mi amo, mi accetto, mi perdono, se necessario. E prendo coscienza di Dio, quel Dio, che in me risuona, e che è pronto ad amarmi, ad accogliermi, a sostenermi, se solo glielo chiedo, se solo mi affido alla sua misericordia.
Ecco che il silenzio diventa preghiera.